La natura della Sardegna attraverso l'obiettivo di una reflex

La mia passione per la fotografia nasce all'età di 10 anni, quando ricevo in regalo dai miei genitori una "compattina" che diviene una inseparabile compagna di viaggio; la porto appresso in ogni dove, persino a scuola! Col passare del tempo cresce in me un'altra grande passione, l'amore per l'ambiente naturale. Inizio ad accostarmi alla fotografia naturalistica e la partecipazione ad un corso di formazione professionale, nel quale una delle materie è la fotografia ambientale, mi permette di evolvere la mia tecnica. Ottenuta la qualifica di "Guida escursionistica ed Operatore per il turismo naturalistico" inizio a lavorare nella Riserva di Monte Arcosu (dove lavoro tuttora come guida ed educatore ambientale); per qualche anno collaboro anche alle ricerche scientifiche (radiotracking sul Gatto selvatico sardo e sul Cervo Sardo) e grazie al fatto che devo passare giorni interi fra i boschi ho modo di migliorare le mie conoscenze naturalistiche e di conseguenza la qualità delle mie foto.
Pian piano arrivano i primi contatti con alcune riviste di settore, poi arriva una grande occasione: mi viene proposto di collaborare col grande Domenico Ruiu, mio mito d'allora ed oggi grande amico. Realizziamo insieme un articolo su Monte Arcosu per la prestigiosa rivista Oasis; ad un anno di distanza ancora per Oasis, un altro articolo, ma questa volta sul Cervo della Berberia e sul Parco Nazionale di El Feidja in Tunisia. Inizia la mia "carriera" fotografica, ma oggi come allora quello che mi spinge a fotografare la natura è soprattutto la passione.
Fra i miei "segreti fotografici" hanno grande importanza il binocolo ed il taccuino di campo. Osservo con attenzione ed annoto tutto ciò che ritengo possa essermi utile, ma curo in particolare la descrizione di atteggiamenti o comportamenti non usuali delle specie oggetto delle mie osservazioni.
Sono stato spesso spettatore di scene emozionanti e fiabesche, come quella vista a Monte Arcosu dove l'Aquila reale rientrò al nido con una preda decisamente inusuale: un Gabbiano reale; o come quella della Palude di Sa Masa presso Iglesias dove mamma Folaga resasi conto che i suoi pullus stavano per essere predati da un Airone rosso, senza badare alle dimensioni dell'ardeide, lo ha attaccato furiosamente riuscendo a salvare la prole e rientrando nel folto del canneto decisamente ringalluzzita! Un'altra spettacolare scena l'ho vissuta qualche anno fa sull'isola di San Pietro, dove un azzardatissimo Gatto domestico osò avvicinarsi alla colonia dei Falchi della regina: non meno di trenta falchi si alzarono in volo e cominciarono a sfrecciare sul povero felino, il quale vista l'aria che tirava pensò bene di battere in rapida ritirata!
Non mi sono specializzato in qualcosa di particolare, mi piace riprendere la natura in tutte le sue sfaccettature, quindi fotografo di tutto, ma ovviamente ho delle preferenze, infatti il Cervo sardo, il Falco della regina, il Pollo sultano e le orchideacee sono i miei soggetti preferiti. Per le orchidee, l'unico problema è quello di trovarle e cercare di renderne fotograficamente l'insospettabile bellezza. Il discorso cambia radicalmente per gli altri tre soggetti; fotografare animali (soprattutto in Italia) non è semplice. È necessario avere buona conoscenza sia della specie oggetto della foto sia del territorio che essa frequenta. A ciò va aggiunta una dose pressochè inesauribile di pazienza (necessaria per i lunghi appostamenti), un po' di sana follia (altrimenti cosa spinge una persona "normale" a stare per ore sotto un telo mimetico e abbarbicata su un costone roccioso in posizioni spesso non esattamente comode?), un pizzico d'inventiva (serve sia per crearsi, con poco, aggeggi vari utili per fotografare, sia per superare la diffidenza degli animali) ed infine una buona resistenza alla fatica fisica (portarsi appresso uno zaino fotografico di circa 15 Kg più il treppiede non è roba da poco!).
Insomma, realizzare buoni scatti richiede oltre alle conoscenze naturalistiche, sacrificio e tenacia, ma i lunghi appostamenti sotto il sole cocente o sui picchi rocciosi sferzati dal gelido Maestrale vengono ripagati da qualcosa che è difficile spiegare: l'emozione. Utilizzo la fotografia per vivere e trasmettere le mie emozioni ma anche per descrivere la natura in tutta la sua splendida e talvolta selvaggia bellezza. Tutto ciò ha però un limite ben delineato e insormontabile: NESSUNA foto vale la vita di un essere vivente.
La mia etica è ferrea; spesso ho rinunciato a scatti che sarebbero stati davvero interessanti perché avevo la certezza che avvicinandomi avrei arrecato disturbo alla specie.
Non amo "la fotografia a tutti i costi", sono ottimista e spero sempre che mi arrivi una seconda occasione (spesso la cerco!).
Per ottenere buone foto, minimizzando il disturbo antropico creato dalla presenza del fotografo, assume una grande importanza l'attrezzatura fotografica. In un campo decisamente particolare come la fotografia naturalistica, poter disporre di supertele di buona qualità o obiettivi specialistici per la macrofotografia è molto importante e permette di scattare immagini qualitativamente elevate. Personalmente scelgo la mia attrezzatura dopo aver fatto una attenta analisi fra costi, benefici e peso da trasportare.
Fino a poco tempo fa mi affidavo solo a reflex analogiche ma oggi fra i miei strumenti di lavoro c'è anche una reflex digitale, la quale mi sta sorprendendo positivamente sia per le prestazioni, sia per l'ottima qualità delle immagini che riesco a realizzare. Inoltre a favore del digitale c'è un ingrandimento di 1,5 X; esso è dovuto alle minori dimensioni del sensore rispetto alla pellicola fotografica il che si traduce nella riduzione dell'angolo di campo dell'ottica impiegata e in un suo " aumento" di focale; in pratica un 600 mm montato su una digitale diviene un 900 mm e ciò significa potersi posizionare ad una maggiore distanza dal soggetto e di conseguenza ridurre ulteriormente il possibile disturbo arrecato alla specie. Questo vantaggio si ha solo sui tele e diviene uno svantaggio sui grandangolari, infatti in 20 mm diventa un 30 mm!
Qualche anno fa ho deciso di autocostruirmi un sito web e, onestamente, non avrei mai creduto che in meno di tre anni avrei raggiunto le 50.000 visite. L'ho chiamato "Longufresu" che in lingua sarda (Sardegna sud occidentale) significa Tasso (Taxus Baccata), l'albero della morte! Ho scelto questo nome perchè mi hanno sempre affascinato le leggende che questa essenza arborea (dalle mie parti rara e localizzata), suscita nell'immaginario della gente; si racconta di persone avvelenate solo per avervi sostato sotto. Di vero c'è che il Tasso contiene in tutte le sue parti (fatta eccezione per l'arillo, il suo frutto rosso e carnoso), un alcaloide molto velenoso. Sono però infondate tutte le notizie-leggende che narrano di atroci sofferenze provocate dal sostare sotto questo splendido albero o di terribili mal di testa (o di pancia, dipende da chi racconta!!!) che hanno colpito chi ha osato passare nelle vicinanze di "Su Longufresu".
Per concludere questa mia disquisizione sul mio lavoro e sulla fotografia naturalistica in generale, posso affermare senza ombra di dubbio che un buon fotografo naturalista è innanzitutto un buon naturalista poi in secondo ordine un buon fotografo. La tecnica fotografica si può apprendere attraverso corsi specifici o leggendo dei buoni testi, ma l'amore verso la natura e le conoscenze del fotografo naturalista sono frutto, oltre che di lunghi studi, di numerosissime ore passate sul campo ad osservare ed apprendere i "segreti" di un mondo che per essere apprezzato appieno richiede spirito d'osservazione, sacrificio e … cuore!!!

Giovanni Paulis
Fotografo e Guida ambientale
http://www.longufresu.it

 

 

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